Processo pittrice: in una lettera Simone accusa il padre e parla per la prima volta del delitto FOTO

TERAMO – "Dillo che le mani al collo della mamma le hai messe tu…". E’ nell’ennesima lettera che parte dal carcere di Lanciano e indirizzata a Castrogno, a Giuseppe Santoleri, e dal pm Enrico Medori attribuita al figlio Simone, il nuovo colpo di scena nel delitto della pittrice Renata Rapposelli. Arriva a fine udienza dinanzi alla Corte d’Assise, quando il pubblico ministero la consegna al presidente Flavio Conciatori. La novità non è tanto nell’intenzione di Simone di voler rispedire al mittente l’accusa di aver ucciso la madre nell’appartamento di Giulianova, quanto nel fatto che Simone per la prima volta parla apertamente dell’omicidio. Sulla paternità della lettera è lo stesso pm a confermarlo parlando di indagini integrative, scattate il giorno del sequestro della missiva, da parte del personale di custodia penitenziariza del carcere di Lanciano dove Simone è detenuto. Non c’è mittente, ma quella raccomandata l’avrebbe pagata Simone, come risulta dall’interno del penitenziario. In essa il figlio accuserebbe pesantemente il padre, ma per farlo, è la logica considerazione conseguente, deve per forza ammettere che il delitto è stato commesso nell’appartamento di Giulianova, quel 9 ottobre del 2017 quando la pittrice giuliese si era recata nella casa dove vivevano ex marito e figlio. Raccontando una versione diversa, dove il padre Giuseppe è colui che strangola la ex moglie.
Arriva in chiusura la novità, dopo una mattinata in cui la vita della Renata Rapposelli artista, in quel di Ancona, è stata passata alla lente d’ingrandimento dei racconti del medico di famiglia e dell’avvocato che le curò la separazione facendole ottenere l’assegno di mantenimento. La pittrice era in precarie condizioni di salute, si era ripresa dopo essersi licenziata dalle Poste, ma l’aggravarsi delle difficoltà economiche l’avevano fatta tornare in condizioni di sofferenza personale. Viveva però con trepidante attesa il vicino traguardo della pensione di vecchiaia, che avrebbe cominciato a riscuotere dal mese di novembre: questo l’aveva ben disposta anche nei confronti dell’ex marito che per oltre un anno non le aveva versato il mantenimento mensile di 200 euro, proponendogli di rateizzare il pregresso di circa 3mila euro e soltanto quello, senza più versarle nulla perchè, diceva, la pensione le sarebbe bastata. Una disponibilità diametralmente opposta alla reazione che invece ebbe Giuseppe Santoleri, ha riferito nella sua deposizione l’avvocato della donna, quando apprese della condanna a pagare l’assegno all’ex moglie. Raggiunse Ancona per la prima volta dopo tre anni, in treno, per incontrarla, cercando senza riuscirvi, la sua abitazione: la donna, al telefono, non svelò l’indirizzo "perchè – raccontò al suo legale – lo avevo sentito particolarmente agitato, mi spaventai e non volli incontrarlo". La condizione di un Giuseppe ‘istrionico’, affetto da psicosi e depressione, su cui incideva anche l’abuso di alcol, viene fuori dalla testimonianza della psichiatra che lo ricoverò nell’ottobre 2017 all’ospedale di Giulianova dal 17 al 27 ottobre. Era trascorsa una decina di giorni dalla scomparsa della ex moglie e lui si presentò direttamente in reparto senza voler passare dal pronto soccorso implorando di essere ricoverato: in mano, si scopre in udienza, aveva una impegnativa. per ricovero ‘per nevrosi’ compiltata dal medico curante due settimane prima e ancor prima della visita della donna a Giulianova. "Perchè mai – ha chiesto il presidente della Corte – nessuno ha domandato perchè si presentava solo allora per farsi ricoverare?".